Siamo sicuri che il caffè italiano sia il peggiore del mondo?

Che l’articolo apparso sul Gambero Rosso relativo alla qualità dell’espresso e del caffè in generale in Italia sia stato scritto per destare attenzione è palese.

Per altro, quanto descritto dai miei colleghi trainer corrisponde ad una parte di verità, e sono argomenti che io stesso utilizzo durante i miei corsi.

Probabilmente si poteva evitare di partire da qualche aspetto negativo per denigrare tutto un comparto economico-sociale fondamentale nel nostro paese, o quantomeno essere meno “tranchant”.

Per altro, essendo io dipendente di una medio/grande torrefazione con il ruolo di formatore, mi ritrovo ad affrontare quotidianamente situazioni difficili, dove il mio ruolo diventa quasi quello di “consulente” del barista, il quale sovente viene presso la nostra academy per il corso di formazione che offriamo ai nostri clienti, non ancora ben deciso su quale miscela scegliere. E la difficoltà non è certo quella del saperlo consigliare, ma soprattutto quella di far comprendere quanto la differenza di pochi euro al kg possano davvero cambiare i suoi risultati in termini di vendite, e di conseguenza di utile a fine mese.

È molto evidente come, a quasi due anni dal termine della pandemia, la crisi sia ancora presente; questo dato innegabile ha portato molti soggetti a affrontare situazioni che nel 2019 non erano nemmeno immaginabili.

Allo stesso tempo, se il lavoro svolto fino a quella data aveva portato dei miglioramenti in tutto il comparto in termini di qualità e servizio, oggi ci ritroviamo a dover quasi ricominciare da zero, con timori (comprensibili) e nuove difficoltà, fosse anche solo quella di reperire del personale “stabile”.

Ma non solo, siccome oggi, per aprire un bar, non servono particolari requisiti e nemmeno grandi investimenti economici, molte persone che si sono ritrovate senza un lavoro dopo il COVID hanno intrapreso questo tipo di attività.

Non sta a me giudicare se sia giusto o sbagliato dare supporto a chi fa questa scelta, ma di certo so che non è corretto fare di tutta l’erba un fascio.

Ci sono aziende con contratti di somministrazione e comodato chiari e senza vincoli, così come ce ne sono con contratti capestro e penali vergognose, questo perché non esiste una vera e propria regolamentazione nel settore, e purtroppo come sempre l’ignoranza è la peggior nemica.

Davvero i torrefattori vogliono fornire le attrezzature in comodoato?

Sapendo quali sono i costi da sostenere per la fornitura delle varie attrezzature, ormai un vincolo difficile da estirpare dalla mentalità del barista, sono certo che i torrefattori che vogliono lavorare su onestà, trasparenza e qualità sarebbero i primi a volere che il barista acquistasse i macchinari, potendo godere di un prezzo inferiore del caffè al kg e lasciando che ci si possa concentrare solo sulla scelta della miscela e sulla formazione, ma ad oggi siamo appena al 2% dei nostri clienti che ha accettato questa formula, sebbene con incentivi all’acquisto dilazionato e con sconti che egli stesso, senza l’intermediazione dell’azienda, non avrebbe potuto ottenere.

Allora, invece di sparare a zero sul caffè italiano, rischiando anche di compromettere un mercato estero importante, focalizziamo i nostri sforzi in positivo: educhiamo il cliente con articoli formativi, aiutiamo il barista ad elaborare un business plan adeguato, spieghiamo al barista come migliorare le proprie performace e diamogli informazioni tecniche per essere più preparato nella scelta delle attrezzature, allora sono certo che poco a poco torneremo ad avere un prodotto migliore.

Perchè il barista non sa cosa c’è nella tazzina?

Io sono da sempre un promotore della conoscenza, ho scritto un semplice manuale per aiutare baristi e clienti a comprendere l’importanza ed il piacere di questo lavoro (Professione Barista, edito da Tecniche Nuove) e svolgo corsi per lo più gratuiti presso la nostra torrefazione anche per gli associati Epat, come credo facciano anche molti altri miei colleghi.

Invito quindi i baristi in primis ad informarsi, a chiedere come poter partecipare, a seguire fiere ed eventi, assaggiare tanti caffè differenti (possibilmente senza zucchero, per percepirne più facilmente pregi e difetti), educando il proprio palato.

E una volta educati, fare proseliti, portando la cultura del caffè ai clienti, che è la parte più difficile, ma la si può fare solo se si ha una buona base formativa e tanta volontà.

Non credo, infatti, sia solo una mia percezione, ma anche quando si riesce a creare un barista competente, il quale prepara un espresso ben fatto e con attrezzature adeguate e ben mantenute ma non sufficientemente convinto ad utilizzare un prodotto di qualità, sovente dopo pochi mesi avviene l’immancabile richiesta del passaggio ad un caffè più intenso, forte, e corposo perché la clientela non apprezza il gusto più delicato e talvolta più fruttato degli arabiche lavate e tostate in modo corretto.

E qui viene fuori il grande dubbio del torrefattore (tanto più grande quanto più ha investito nel cliente): accontento il cliente fornendo un prodotto che seppur realizzato con materie prime buone porterà sicuramente un espresso con caratteristiche diverse rispetto agli standard qualitativi precedenti ma continuo a servirlo; insisto sulla prerogativa della qualità, offrendo ulteriore supporto anche di marketing, tecnico e formativo oppure rinuncio e lascio che il mio cliente (che con molta fatica ho conquistato) vada in cerca per un altro torrefattore che non si farà scrupoli a portarmelo via?

Ricordiamo che ogni azienda, piccola o grande che sia, ha dei conti economici da far tornare e sovente è responsabile di molte famiglie, e non sempre è possibile scegliere bianco o nero…

Con questa ultima domanda vi saluto, e vi aspetto al Sigep allo stand di Costadoro (B1-200) per assaggiare differenti espressi, di qualità, per differenti palati, ma non parlatemi di comodati o finanziamenti!

Fabio Verona

Lascia un commento

Blog su WordPress.com.

Su ↑